Janurael – Il ritorno

Ogni anno nel mese di aprile comincio ad attendere con trepidazione l’inizio dell’estate e per qualche motivo penso con un misto di gioia e ottimismo alle calde serate d’estate, forse immaginando che questa è l’estate giusta per lavorare con il sole che inonda le stanze, il ventilatore che mi tiene compagnia la notte, i gelati, i bagni al mare e chi più ne ha più ne metta.

In effetti, fino a qualche anno fa quando ero ancora una studentessa universitaria, alla fine degli esami di luglio e fino a ferragosto mi concedevo delle vere vacanze perché sentivo di aver fatto il mio dovere di studentessa in corso e con tutte le amiche che ancora non si erano trasferite in giro per l’Italia passavamo le giornate al mare, in campagna e in giro per lidi e case delle vacanze. Ero sempre piena di energia e stare sotto il sole non era la tortura che è diventata adesso.

In estate ormai divento una sorta di vegetale che si trascina di stanza in stanza in attesa che tramonti il sole per poter alzare le serrande e trascorrere qualche minuto in balcone. Giusto il tempo di stendere i panni.

Sembra uno scenario deprimente, lo so, ma sono stata lieta di scoprire che degli scienziati di una qualche università del Regno Unito confermano che fisiologicamente non siamo in grado di sopportare per troppo tempo temperature superiori ai 35 gradi. A quanto pare ci rende più svogliati, meno concentrati e più aggressivi. Lo confermano gli insulti via clacson che sento sotto casa tutta la mattina.

Fortunatamente però quest’estate ho cambiato casa ed è più nuova, più luminosa e più grande. Un amico ci ha detto che potrebbe farci comodo pure una mappa, tanto è grande.

Il punto è che traslocare a luglio non è particolarmente entusiasmante e benché si creda che il giorno del trasloco sia uno solo, la realtà è che dura settimane. Le prime due servono per memorizzare i punti in cui hai sistemato la roba, per cui ti ritrovi a non sapere dove hai messo il pane, gli asciugamani nuovi che ti hanno regalato per il matrimonio, il caricabatterie del portatile o cose di importanza primaria come i documenti e il cibo del cane. E poi ci si può imbattere in quel tipo di madre (come la mia) che ha un concetto più radicale di ordine rispetto al proprio e che continuerà a dire che sei “un po’ accampata ancora” perché non hai il set di tappeti per la camera da letto (poco importa se le ripeto da cinque anni che detesto i tappeti in camera da letto) o un gancio in cucina in cui appendere le presine nuove.

Comunque attenderò i primi giorni di pioggia per le attività più faticose e pazienza se per quest’anno al mare ci avrò trascorso solo due ore.

Aria di cambiamenti

Stavolta cambio vita sul serio. Oh.

È da circa tre anni che ripeto “Adesso cambio lavoro” perché non mi sono laureata per dare ripetizioni né tanto meno per essere contattata da madri in crisi agli orari più impensabili.

Quindi finalmente ho deciso di non sentirmi in colpa se da settembre dovranno trovare un’altra balia perché non posso rimandare all’infinito il momento di trovare un lavoro migliore (sì, lo so, è molto difficile senza contare il disagio del Covid, ma si deve pur andare da qualche parte).

Quindi finalmente mi sento libera di pianificare potenzialmente all’infinito, seguire corsi professionali, scrivere libri, decidere se fare o no la traduttrice full time, imparare lo spagnolo con le prossime canzoni di Àlvaro Soler o vendere tutti i miei vestiti su Vinted (per qualche motivo la pubblicità di YouTube è convinta che voglia liberarmi del mio guardaroba).

Perché lo scrivo qui è presto detto: sto prendendo un impegno pubblico. L’ho detto in famiglia, l’ho detto agli amici e ora lo sto dicendo a Internet. Se non rispetterò quest’impegno mi sarò praticamente sputtanata u.u (certo, potrei anche tenerlo nascosto, ma non so dire le bugie)

Sally, invece, cresce sana e bella e spesso la becco a dormire con la linguetta di fuori.

Starà sognando di mangiare l’osso?

Countdown alle vacanze

Sono sempre stata un po’ incostante. Non sono inaffidabile, preferirei camminare sui carboni ardenti che non rispettare una scadenza o non mantenere una promessa.
Ma scatta qualcosa in me dopo Natale e Capodanno che rende tutto incredibilmente difficile da sopportare. Ovviamente ci sono le eccezioni e sono abbastanza tollerante da avere ancora un lavoro e un po’ di amici, ma nel periodo che va da febbraio ad aprile vorrei solo trasferirmi in un eremo con quattro scatole di libri, un’ampia scorta di birra e formaggio e un computer su cui poter finalmente scrivere una raccolta di racconti o un cavolo di romanzetto senza dover pensare ad altro.

A me non dispiace avere a che fare con gli adolescenti e non mi dispiace insegnare inglese. A me l’inglese piace così tanto che potrei parlare per giorni di inglese antico, inglese moderno, idioms, parole di origine latina e germanica, accenti del nord e del sud e via dicendo, ma la cosa che rende insopportabile questo lavoro è la quasi totale assenza di interesse verso queste informazioni fuori programma.

A settembre i ragazzi sono giù di morale perché è appena finita l’estate, tra ottobre e novembre tollerano male le pressioni dei genitori, a dicembre trepidano in attesa delle vacanze… Insomma, stanno sempre ad aspettare l’arrivo di vacanze e pause didattiche, incuranti del fatto che io o altri colleghi che ci occupiamo di far recuperare le insufficienze del trimestre dobbiamo barcamenarci tra genitori che vogliono insegnarci come fare il nostro lavoro, professori che a volte saltano di pali in frasca, e gli occhi di questi ragazzi che ci fissano vacui, pronti a dimenticare ancora una volta la dannatissima e semplicissima struttura del Present Continuous.

E poi subentrano le altre richieste: “Puoi scrivere una recensione…?” oppure “Puoi fare un progetto di letteratura…?”. A momenti si arriverà a “Puoi andarci tu a scuola a studiare?”.

La maggior parte delle madri, a dire il vero, sono solo incoscienti. Hanno così tanta paura che il figlio o la figlia possano “subire l’onta” di un brutto voto che si dimenticano di responsabilizzarli e insegnar loro che un voto sotto il 7 non è la fine del mondo.
Altre invece sono insopportabili e basta: ti dicono quale deve essere il risultato, come ci devi arrivare e quali strumenti utilizzare, perché loro hanno più soldi di te e possono fare come vogliono.
I loro figli sono i migliori, i più intelligenti, ma vanno seguiti passo passo, perché sono molto stanchi, non sono pigri di pensiero. (Non ricordo una sola volta in cui mia madre abbia detto “Poverina, è stanca, troppi compiti” D:)
Rimproverano i figli perché non leggono nemmeno un libro, ma sono le prime ad abusare di internet invece di leggere. (Non c’è niente di male a non amare la lettura, ma sarebbe meglio essere genitori coerenti, no?)

Ed essere costantemente rintracciabile su WhatsApp rende tutto più snervante e invadente. A volte i primi messaggi arrivano alle 7:30 e gli ultimi alle 22. Ci sono volte in cui ricevo delle chiamate mentre sono seduta a tavola o sto cucinando. Per non parlare della galleria intasata di foto di libri scolastici accompagnate da messaggi come “Mi spiegheresti come si fa?” che il più delle volte sta per “Me lo faresti tu?”.

Quindi alla fine scopro di non essere tanto diversa da questi ragazzini…

Quando arrivano le vacanze?

WordPress e dintorni

Nell’ultimo mese devo aver cambiato più o meno un tema a settimana. Per non parlare di tutti quelli provati prima di pubblicare il blog.

A un certo punto è diventato un gioco estetico vedere i widget a mia disposizione, la collocazione delle colonne, la combinazione di font e le palette (LE PALETTE!), per cui ho un’ossessione degna di Wes Anderson.

Credo che questo template abbia vinto.

La cosa migliore, comunque, è che WordPress comincia ad avere sempre meno segreti per me: sono riuscita a creare una pagina nuova dove raggruppare i miei sproloqui su film e serie TV. E chiaramente è inutile, ma confesso che vederla pubblicata mi ha fatta sentire un’informatica provetta.

Sono ben lontani i tempi dei blog di MSN. Io spero davvero che tutti ne abbiano avuto uno perché era onestamente divertente e passavo ore e ore a scrivere e leggere i blog degli altri.

Erano due le caratteristiche che trovavo più interessanti: 

a) potevi personalizzarti il blog come volevi ed era davvero semplice (ehi WordPress, prendi nota!). Io avevo il cursore di Harry Potter e Hogwarts come sfondo perché sì, ma le mie compagne di scuola avevano davvero DI TUTTO. Alcuni dei loro blog si caricavano giorni dopo averli aperti per via degli sfondi glitterati, del cursore animato, dell’ultima canzone dei Tokio Hotel in sottofondo e la marea di GIF che allora internet non sapeva come gestire.

b) nella transizione tra le medie e le superiori questi blog mi permettevano di restare aggiornata sulle vite delle vecchie amiche e allo stesso tempo di leggere quello che scrivevano i ragazzi più grandi del mio liceo. Qualcuno prendeva in giro un professore particolarmente noto, altri esprimevano accorati il loro credo politico, alcuni usavano MSN per tenere il blog del comitato degli studenti.

E poi c’era MySpace, che in pratica era utile solo se volevi seguire un certo cantante, credo. Ho avuto un profilo MySpace per qualche tempo, ma ricordo molto poco. So che non avevo idea di come condividere le canzoni che avevo salvato sul PC e che, come oggi con WordPress, amavo cambiare tema e sfondo con cadenza settimanale.

L’ho abbandonato molto presto perché nessuno dei miei amici utilizzava MySpace, il che è paradossale visto che ho salutato definitivamente Facebook proprio perché mi dava sui nervi avere tutti quegli “amici” che nella vita quotidiana non vedi e non saluti. (Il che mi porta a una domanda esistenziale: ero una ragazzina buona e ingenua o sono un’adulta fin troppo riservata? Mmh.)

È un peccato che Microsoft abbia chiuso blog e messenger. Mi piacerebbe davvero tanto poter rileggere quel che scrivevo e inviare trilli per puro dispetto. Aah, ci morirò di nostalgia!

Amici decenti e dove trovarli

Ho cominciato ad avventurarmi su internet quando andavano di moda ForumFree e ForumCommunity. Avevo circa 12 anni e l’unica cosa che volevo era trovare della gente con cui parlare di Harry Potter, con cui aspettare l’uscita del film o del libro successivo. Inoltre, non facevo che salvare tutte le immagini potteriane in cui mi imbattevo. La mia cartella “Harry Potter” conteneva quasi 1 giga di materiale tra foto, video, gif, colonne sonore e fan fiction.

C’era un forum che aveva un posto speciale nel mio cuore, l’Harry Potter Fans Community, sul circuito ForumFree. Purtroppo Facebook e i vari social che si sono avvicendati negli ultimi anni hanno decretato la fine dei forum, che a mio parere erano di più facile consultazione. Volevi parlare del libro delle Fiabe di Beda il Bardo? Beh, c’era una sezione in cui farlo o un thread dove si parlava esclusivamente di quello. Ti andava di vedere delle fan art sulla fenice Fanny? Potevi cercarle nella sezione delle fan art dedicata alle creature magiche o magari ti aprivi un topic. Non c’era da scorrere i post di una pagina infinita di Facebook e così difficilmente ti perdevi un commento o un post interessante. Questa cosa rendeva più facile fare amicizia.

E quella era una parte davvero fantastica. Nonostante la mia dannata timidezza, ero riuscita a trovare tre amiche con cui ci si scambiava informazioni sulla saga, fan fiction scritte da noi quattro e anche commenti sulla scuola. C’era un certo equilibrio nella mia vita, al tempo delle medie.

A 12 anni non ti viene in mente che magari le cose cambieranno, che ForumFree non è immortale e che il liceo stravolge gli equilibri (specie quando metà dei tuoi insegnanti non comprende che non è giusto costringerti a studiare tutti i giorni dalle 15.30 alle 22). Mi aspettavo che avrei vissuto sempre con quel tenore di vita: bei voti, tanti hobby, buoni amici online e buoni amici nella vita reale.

Solo che non è andata per niente come pensavo, perché le amiche le ho selezionate accuratamente. #sarcasm

In un periodo in cui Friends, Will&Grace e, perché no, anche Harry Potter creavano il mito dell’amicizia vera, io cominciavo a infognarmi progressivamente in amicizie destinate ad affondare come il Titanic.

La mia migliore amica storica era una manipolatrice. A 14 anni ha tenuto il broncio per giorni quando scoprì che avevo superato la prova d’ingresso al conservatorio (a cui ho deciso di rinunciare per non perdere la bell’amica), si arrabbiò perché i miei mi avevano regalato la PlayStation 2 e i suoi non le facevano mai regali particolarmente belli (cosa, peraltro, non vera: aveva solo una naturale inclinazione all’invidia) e non mi parlò per giorni per quell’unica vacanza che io e la mia famiglia siamo riusciti a fare insieme, perché proprio non le andava a genio che io facessi qualcosa, qualsiasi cosa, che non coinvolgesse esclusivamente lei. Avrei dovuto dare ascolto a mia madre.

Anni dopo ho fatto amicizia con una ragazza veneta che non riusciva a non ridere delle mie vocali aperte e che aveva un fratello che mi chiamava “la terrona“. Era un’amicizia impari che è finita in maniera indolore. Credo che tutto sia iniziato dopo la sua visita in Sicilia: troppo sole, troppa gente al bar, troppo quieto vivere e troppe grasse risate. E meno – molto meno – denaro.

All’università c’era una ragazza nel gruppo di amiche che ha passato la bellezza di tre anni a straziarci l’anima dopo essere stata lasciata dal fidanzato. Mi scriveva alle sette del mattino e iniziava a sdoganare il suo mal di vivere perché non aveva un ragazzetto che desse significato alla sua vita. Il problema è che a furia di sentire i suoi lamenti per dodici ore al giorno, anche io avevo iniziato a star male, avevo assorbito il suo dolore come una spugna e, in buona sostanza, era diventato anche il mio. Andava al di là della solidarietà tra amiche, mi sentivo quasi in colpa a star bene ed ero arrivata al punto di autosabotarmi di continuo.

In anni più recenti avevo instaurato una buona amicizia a distanza con una ragazza che sembrava avere la testa sulle spalle, una bella personalità e tanta voglia di condividere esperienze e pensieri con me. Pensieri che, però, col trascorrere del tempo, si sono tramutati in negatività continua e del tutto immotivata.

Ne ho dedotto che la mia funzione è sempre stata quella di essere usata per lamenti e pianti. Di per sé non è nemmeno sbagliato. Gli amici si ascoltano, si aiutano, si supportano. A vicenda.
Ogni volta che ho notato l’assenza della vicendevolezza, mi sono chiesta se fosse giusto portare avanti un rapporto che sembrava essere solo strumentale.
Non facevamo shopping insieme, non andavamo al cinema, non ci divertivamo con i videogiochi. Era un eterno pianto, finché non ho sfanculato tutte. Perché non ne potevo più e perché nel frattempo è sorta l’esigenza di trovare un modo per pagare le bollette.

Mi piacerebbe dire che mi manca avere un’amica intima – non quelle del gruppo di lettura che vedo una volta al mese e nemmeno quelle che vedo di tanto in tanto per lavoro – ma non so se posso dirlo. Probabilmente mi sarebbe piaciuto avere un’amica che oltre a lamentarsi delle sue giornate “no” mi avesse parlato del libro che stava leggendo, una che non avesse rifiutato le mie chiamate per paura di essere rimproverata dalla madre (a 20 anni suonati), una che mi contattasse su Zoom durante il lockdown per gestire insieme lo stress psicologico che abbiamo subito tutti la scorsa primavera.

A questo punto mi piacerebbe capire due cose: quale errore ho commesso negli ultimi (quasi)trent’anni? Vale ancora la pena di insistere a voler percorrere la strada dell’amicizia?

Ma poi non è che mi sto trasformando nella mia nemesi, un piagnisteo costante? Bella domanda.

The Night Stalker

Lo scorso 13 gennaio è uscita su Netflix una docuserie intitolata “The Night Stalker”, che in quattro episodi di circa 40 minuti documenta estensivamente le indagini che hanno portato alla cattura di Richard Ramirez, ovvero il famigerato Night Stalker.

Non era la prima volta che sentivo parlare di Ramirez, avevo incrociato il suo nome leggendo un thriller e dopo qualche ricerca su Google ho potuto constatare l’effettiva efferatezza dei suoi crimini.

La serie Netflix, però, ha qualcosa di più, lascia un certo senso di angoscia per un po’. Nel libro mi è sembrato quasi un agnellino candido dopo aver scoperto come operava effettivamente. 

Mi è venuto fin troppo facile pensare alla paura e alla sofferenza delle vittime che di punto in bianco, nella vulnerabilità della notte, si sono ritrovate questa bestia assatanata (quasi letteralmente, oserei dire) in casa. 

Insomma, per ritrovare il giusto equilibrio dopo ho guardato qualche video comico della serie “Try Not To Laugh” a caso. 

La serie l’ho trovata interessante, anche se ammetto che è riuscita ad alimentare quell’idea che gli Stati Uniti siano la patria dei serial killer più folli e crudeli. (e magari è così? O dipende solo dal fatto che sia un territorio enorme? Ai posteri l’ardua sentenza.) 

Ottimo anche il fatto che la serie non sia un semplice e accurato elenco di omicidi e deviazioni mentali, ma anche la narrazione della storia personale dei detective che hanno lavorato al caso, delle conseguenze dell’aver lavorato a un caso di tale risonanza mediatica, e dei sopravvissuti e dei parenti delle vittime che parlano delle perdite e dei traumi subiti.

C’è stato un episodio che mi ha colpita particolarmente, una triste coincidenza. Nel corso, forse, del secondo episodio, viene intervistata la nipote di una coppia di anziani, i coniugi Kneiding, che vivevano in un’area in cui il Night Stalker colpiva regolarmente. Racconta di come avesse pregato la nonna di chiudere a chiave la porta di casa perché ormai si sapeva che la notte si verificavano fatti terribili e si continuava a sentire storie di stupri e omicidi.

Cosa le rispose la nonna?

Che mai avrebbe chiuso a chiave la porta di casa sua, non lo aveva fatto prima e non avrebbe iniziato a farlo nemmeno ora che un pazzo minacciava la sicurezza di intere famiglie.

La cosa più triste, ahimè, è che la donna e il marito sono stati uccisi entrambi da Ramirez, colpiti da un karma (e un killer) particolarmente sadico.

Ma è il karma o i cittadini delle periferie degli Stati Uniti sottovalutavano (e forse sottovalutano ancora oggi) il valore di una bella porta corazzata e delle solide finestre che si vedono spesso nelle nostre case?